Si è lasciato condurre dalla vigoria della sua memoria per giungere su quei sentieri lontani che hanno inevitabilmente segnato la sua infanzia, tra muri a secco e case che scivolano lungo i pendii di un tratto costiero roccioso.

La sua matita ha ridisegnato quei giorni beati, a volte sconsiderati, imprudenti, per dar vita a un racconto modesto, gentile, rivolto al cuore – oltre che alle papille gustative.

Veterano dell’animazione, regista e sceneggiatore della Pixar, Enrico Casarosa ha immaginato e realizzato un’ode alla sua amatissima terra d’origine, la Liguria – con il suo verde rigoglioso, il blu accecante e il bagliore arancione dei tramonti della Riviera –, e un’Italia ferma nel tempo, dalle abitazioni color pastello che precipitano giù per la collina ai manifesti sbiaditi che pubblicizzano La strada, Vacanze romane, per correre poi tra Vicolo De Sica e Piazza Calvino sulle note di Andavo a cento all’ora di Morandi e Il gatto e la volpe di Bennato.

Il suo Luca sogna a occhi aperti, è estasiato da ciò che la “superficie” ha da offrire; e l’ispirazione di una scoperta rischiosa, quanto esaltante, non ha origini molto lontane.

“Ho lasciato l’Italia all’età di ventiquattro anni e alla fine sono arrivato a studiare animazione a New York – racconta Casarosa durante la nostra videochiamata, direttamente dalla sua abitazione in California –. Ero iscritto alla facoltà di Ingegneria, ma ho capito subito che non faceva per me; disegnavo sui libri universitari invece di studiare. Ho quindi scelto l’Istituto Europeo di Design, ma mi hanno beccato al militare perché avevo sospeso gli esami; all’epoca era ancora obbligatorio. Dopo un anno, sono scappato negli Stati Uniti. Mio padre lavorava per Alitalia, quindi ci eravamo già stati in vacanza; sentivo che quella era la mia strada”.

Quel bambino che amava perdersi di fronte alle immagini di Conan il ragazzo del futuro o i capolavori del maestro Miyazaki era ormai cresciuto e si è presto ritrovato, da giovane adulto, tra i grattacieli della Grande Mela, con un raccoglitore di sogni e decine di matite consumate.

Da underdog, come si definisce e si racconta in Luca, ha cominciato ad affrontare le giornate interminabili di un migrante, i ritmi della School of Visual Arts and Illustration del Fashion Institute of Technology a New York, le astrusità dei visti di residenza e quei primi lavori in veri e propri studi d’animazione.

“Mi sono sempre sentito un outsider, un po’ diverso – continua –. Durante quei primi anni, dovevo fare molto di più rispetto a chi mi era attorno. Lavoravo di giorno e studiavo di sera, mi muovevo come una trottola, ma devo ammettere di aver imparato tantissimo dai piccoli studi. In tanti hanno il ‘sogno Pixar’, ma è dura puntare subito così in alto; io sono cresciuto moltissimo grazie a quelle prime esperienze professionali”.

La nostalgia della separazione, ma la speranza gioiosa di un futuro travolgente e una visione incontrollabile: era giusto andare via, rincorrere un destino. Dopo circa otto anni a New York, Casarosa ha finalmente avvistato il suo percorso, centinaia di migliaia di passi che l’hanno guidato fino alla Pixar Animation Studios.

Il regista, animatore e sceneggiatore Enrico Casarosa durante la creazione del film Luca

Prima storyboard artist per alcune pellicole di successo come Cars, Ratatouille e Up, poi il debutto alla regia, nel 2011, con il cortometraggio La Luna, che gli regala la candidatura al premio Oscar. In Luca, il suo primo lungometraggio alla regia, ha deciso invece di tratteggiare quella lontana malinconia, l’audacia che l’ha spinto a cambiare universo e un amico speciale che l’ha condotto dove non si sarebbe mai aspettato di giungere.

“Alberto è il mio migliore amico, siamo cresciuti insieme, ma io ero un bambino timidissimo, mentre lui era uno spirito libero, proprio come i protagonisti del film – racconta –. La nostalgia verso l’infanzia è parte della storia, la nostalgia per quelle amicizie in cui ci si scopre diversi; è stato lui a farmi uscire dalla bolla in cui vivevo. Nel realizzare Luca, mi sono posto una domanda: ‘Sarei dove sono ora se non avessi imparato, se non fossi cresciuto insieme a questo amico speciale?’. È fondamentale avere amici così importanti quando si cresce, e lui era molto audace, oggi è un colonnello dell’Aeronautica Italiana. Mi ha aiutato molto parlare con lui durante la realizzazione della pellicola, discutere di quanto avessimo bisogno di separarci per cercare il nostro posto nel mondo. Ci siamo rivisti lo scorso giugno per la presentazione del film a Genova, la nostra città; è stato bellissimo, abbiamo vissuto un’altra avventura”.

Ci si perde facilmente tra le stradine di Portorosso – nome nato dall’unione di Monterosso, tra le località delle Cinque Terre, e Portofino –, di fronte alle metamorfosi soprannaturali dei due protagonisti, la loro genuina amicizia e la passione per “la Vespa con il design più bello”, come afferma lo stesso Casarosa.

Una scena del film, Luca e Alberto provano a costruire una Vespa

E poi ancora, ci si affeziona alla piccola Giulia Marcovaldo con le sue esilaranti esclamazioni – “santa mozzarella!”, prima fra tutte –, e al suo papà Massimo che “mostra la sua disabilità con onore e forza”, grazie soprattutto alle consultazioni del regista con il collega Jim LeBrecht che ha diretto il documentario Crip Camp: disabilità rivoluzionarie.

E infine, le vecchiette che mangiano il gelato in piazza, i bambini che giocano a calcio e l’amatissimo Machiavelli, il gatto con i baffi che “è nato un po’ per caso, ma di cui poi non riuscivamo più a farne a meno”.

“Nel film, c’è un pesciolino che si chiama Enrico, uno degli scrittori aveva utilizzato il mio nome un po’ per scherzo. ‘Non fare come Enrico!’, esclama la mamma di Luca, perché Enrico è già andato via, ha già raggiunto la superficie – racconta il regista –. Una battuta nata per scherzo che però mi ha fatto riflettere e che alla fine ho deciso di lasciare; per Luca, come per me, era essenziale scoprire il mondo”.

Il regista Enrico Casarosa risponde alle domande degli studenti australiani

Perché le creature marine diventano umane quando sono lontane dall’acqua?
Aiden, 9 anni

Da bambino sono sempre stato affascinato dai vecchietti che sostavano sul molo. Ogni volta mi domandavo: ‘Quando me ne vado, cosa succede? Hanno qualche segreto?’. Immaginavo che potessero trasformarsi in draghetti marini in acqua. Quindi, mi sono lasciato guidare dalla fantasia, ma anche dall’idea che alcune cose possano avere due facce.

Com’è nata l’idea del triathlon con la gara di nuoto, in bicicletta e la pasta?
Elodie, 9 anni

All’inizio ci eravamo ispirati a un festival di Sestri Levante, durante il quale sfilano le barche più belle e vengono assegnati dei voti. Ci siamo però resi conto che non era abbastanza entusiasmante. Quindi, abbiamo pensato al triathlon e per rendere la gara un po’ più ‘italiana’, abbiamo aggiunto la pasta! Dovevamo porre delle sfide a Luca e Alberto: il nuoto era un pericolo per entrambi, in bicicletta non ci erano mai andati, e infine ci abbiamo aggiunto la pasta al pesto!

Perché a Massimo, il papà di Giulia, manca un braccio?
Mia, 5 anni

È la stessa domanda che si pone Alberto, ma non osa chiedere. Sarà proprio Massimo ad accorgersi della sua curiosità, quindi prima gli fa uno scherzo e poi gli racconta che è nato con questa disabilità che però mostra sempre con onore e forza. È molto importante la rappresentazione di tutte le diversità e quanto l’amicizia e la curiosità possano essere fonte di crescita. Quella domanda è stata per Alberto e Massimo un momento per avvicinarsi.

Ci sono delle scene nel film che avresti voluto cambiare?
Caterina, 10 anni

Direi di no, ma c’è un dettaglio che manca al film e che abbiamo dovuto eliminare, una piccola gag con i due protagonisti. Durante un giorno di pioggia, Alberto insegna a Luca come giocare a firegolf, colpendo del carbone infuocato come una pallina da golf! Nella scena eliminata, Luca ci prova, ma per sbaglio colpisce Alberto e i suoi capelli vanno a fuoco; Alberto però esulta ed è felice!